“Sia santificato il tuo nome” Carissimi, per la 460ma volta questa bolla pontificia è esposta in basilica per comunicare il valore del perdono. Valore anche laico, che diventa possibilità nuova per chi ha sbagliato di ricominciare, e soprattutto valore di fede, perché allude al perdono che Cristo invoca dal Padre, poco prima di morire. Il modo per onorare il nome di Dio Padre che è nei cieli, è proprio quello di accogliere il suo perdono totale, richiesto da Cristo crocifisso : “Padre perdona loro non sanno quello che fanno”. Nella mentalità della Bibbia, il nome è l’identità piena della persona. Pertanto, santificare il nome di Dio Padre creatore, significa dare a Lui gloria, accogliendo il dono per eccellenza che è il perd-dono, un iper-dono, un super-dono, che nelle mani del ministri della Chiesa, di Pietro e dei suoi successori, nella persona del sommo pontefice PIO IV di Marignano, giunge a noi come indulgenza plenaria: remissione dei peccati della colpa e della pena. In pratica, la completa purificazione dell’anima. San Francesco il 2 agosto 1216, a quanti erano presenti alla Porziuncola per il primo Perdono di Assisi, diceva “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso”. Ma l’uomo moderno, sente ancora il bisogno di essere perdonato? Di essere salvato? E da che cosa? Oppure ha perso questa sensibilità, pensando di salvarsi da solo, di essere lui la misura del bene e del male?
Il secolarismo diffuso, da cui nessuno è immune e dal quale tutti dobbiamo guardaci, perché è un pensiero difficile da fermare, spinge l’uomo a vivere senza Dio: non predica la morte di Dio, ma una vita senza Dio. Il secolarismo tollera la fede, ma predica un Vangelo senza fede, umanitario e filantropico, e annuncia un orizzonte terrestre da godere oggi, poiché il domani è incerto. Quando la Chiesa è esaltata per i suoi interventi sociali, di carità, in linea con l’amore evangelico, anche il secolarismo applaude. Ma quando anche all’interno della Chiesa si annuncia la salvezza di Cristo, la vita eterna, la necessità dei sacramenti e della preghiera, su questo, molti reagiscono come gli Ateniesi che all’annuncio di Paolo della risurrezione di Cristo, dissero: “Su questo ti sentiremo un’altra volta” In questa visione, non c’è posto per il perdono, per la grazia della rigenerazione dalle macerie del male morale. Nella visione secolare tutto è riferito all’uomo, ai suoi impulsi, ai suoi bisogni da soddisfare, ai suoi desideri considerati diritti. Quasi un delirio di onnipotenza dell’uomo singolo, che è ubriaco di egoismo di individualismo. Da questa volontà di potenza tutti possiamo essere inquinati, abili come siamo a giustificare ogni scelta, inclini a mascherare con ragioni nobili anche cose riprovevoli come nei confronti della vita, della famiglia e della società, pensiamo ad esempio all’utero in affitto. In questo modo di essere e di pensare, siamo così più deboli ed esposti al potere di pochi, che tirano i fili planetari per scopi di potere e di profitto.
2.Ci domandiamo ancora : ma l’uomo contemporaneo vuole il perdono di Dio? Se manca l’orizzonte escatologico cioè della vita eterna, all’uomo contemporaneo non interessa il perdono, ma vuole semplicemente essere DISCOLPATO cioè vuol essere giustificato nelle sue azioni, cioè non gli interessa tendere alla verità che libera ma alla DISCOLPA che tranquillizza, senza convertire il cuore e arrivare a quell’altezza che, certo non possiamo darci da soli, ma solo con un dono che ci supera, appunto il perdono divino, che coincide con la legge di libertà dataci da Colui che ci ha creati per amore, ma limitati , fragili.
3.Quale vita si apre accogliendo il perdono divino? La felicità di essere cristiani, che apre a una vita che ha un destino ultimo, una meta, una porta che si apre per l’eternità. A questo proposito cito il Cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova, ad Assisi nella scorsa ricorrenza del Perdono diceva: “Il cristiano non è un brav’uomo, ma è un uomo redento”, salvato, perdonato. Essere in questa condizione è infinitamente di più che essere brave persone, vuol dire riferirsi a Cristo sulla Croce, luogo della nostra salvezza e redenzione. Significa essere nel mondo ma di un altro mondo. Per questo in un uomo, in una donna redenta, si deve vedere la differenza cristiana. Oggi per la verità si percepisce nei cristiani una differenza sempre più sfumata, che a volte si assimila alla mentalità mondana…Ma tu, io cristiano, cristiana, dobbiamo far trasparire la differenza che ci caratterizza, ossia l’essere di Cristo, portatori del suo annuncio, della sua visone della vita, della morte, dell’aldilà. Nietzsche in “Così parlò Zarathustra” scrive quella famosa frase che sento molto vera: “Migliori canzoni dovrebbero cantarmi, per insegnarmi a credere nel loro Salvatore; più redenti dovrebbero apparirmi i suoi discepoli” . Ecco il punto: la differenza cristiana che, se non traspare, annienta tutta la redenzione di Cristo. Ma questa differenza che si deve mostrare non è un peso, ma una gioia grande, siamo infinitamente amati e perdonati da Dio, che ci ha fatto incrociare la presenza viva di Gesù morto e risorto per noi. La gioia cristiana, che non è paragonabile alle piccole soddisfazioni passeggere della vita, è la gioia eterna, è il per sempre di Dio che già viviamo qui sulla terra. Ecco allora che l’obbedienza alla Parola di Dio, l’abbandono di noi stessi alle indicazioni che Gesù ci da nel vangelo, apre un cammino di vera libertà e di gioia autentica. Libertà da noi stessi e gioia del saperci già salvati e amati nella nostra fragilità. Ecco allora il perdono, con l’indulgenza che ci rigenera. Abbandonarsi a Lui che ci visita ogni giorno, fa nuovo il mondo, la società. Ci sono allora due strade: il nascondersi e il “Si” che libera e dà gioia.
Questo lo si vede nel momento delle difficoltà. Concludo col primo esempio, citando ancora il romanzo storico che ha accompagnato le mie riflessioni di questi sei anni: “I promessi sposi”. Al capitolo 25 troviamo il personaggio che per paura se ne era lavate pilatescamente le mani: don Abbondio. Alla fine della vicenda, conversando col Cardinale Federigo Borromeo, che lo rimprovera per il suo comportamento, don Abbondio dice la famosa frase: “Il coraggio, uno non se lo può dare.” Ecco il punto della nostra festa del perdono. Il coraggio da soli non possiamo darcelo, è solo il perdono di Colui che continua ad amarci, che apre a nuove possibilità nella Chiesa e nella società civile. Lasciamoci attraversare da questa presenza per recuperare la speranza.