Nella parrocchia di Sant’Eustorgio a Milano, dove sono conservate le reliquie dei Magi, la particolare devozione nei loro confronti, patrimonio storico fin dal XIV secolo, si rinnova grazie al tradizionale Corteo rievocativo in occasione dell’Epifania.
Programma:
11.00: | – | ritrovo dei gruppi partecipanti in piazza Duomo |
11.30: | – | partenza per il seguente itinerario: via Torino, Colonne di San Lorenzo, corso di Porta Ticinese, piazza Sant’Eustorgio |
12.15: | – |
sosta alla Basilica di San Lorenzo per l’evocazione dell’incontro dei Magi con Erode |
12.40: | – | arrivo in piazza Sant’Eustorgio, offerta dei doni al presepe vivente e discorsi delle autorità cittadine |
Una lunga tradizione lega la basilica di Sant’Eustorgio, e quindi la diocesi ambrosiana, al culto dei saggi venuti da Oriente per adorare il Bambino Gesù. Ma chi erano? Ed erano davvero tre soltanto? Perchè offrirono proprio quei doni? Dalle scarne parole del Vangelo di Matteo al “furto” del Barbarossa, una vicenda che non cessa di meravigliare e stupire.
Già sulla facciata dell’insigne basilica milanese di Sant’Eustorgio una lapide in latino pare voler introdurre il visitatore all’incontro con una tradizione particolarissima, ricordandogli che sta per varcare la soglia dell’antica chiesa «del titolo dei Re Magi».
All’interno, in quella parte del transetto destro dove regna una discreta penombra, lo sguardo si sofferma meravigliato su una grande, monolitica arca di pietra grigia, che non sembra avere tempo nè età, e che reca l’iscrizione: Sepulcrum Trium Magiorum. A fianco spicca per magnificenza un prezioso trittico marmoreo, opera di un anonimo maestro campionese, datato 1347, raffigurante, per l’appunto, la storia dei Magi. Magi le cui reliquie – o meglio, quel che ne rimane dopo la sottrazione nel XII secolo da parte di Federico Barbarossa – sono ancora custodite nell’urna lì riposta.
E mentre la mente comincia a ragionar di stelle e profezie, di terre lontane e imperatori, alle narici distratte par di percepire curiosi effluvi d’incenso e mirra, mentre l’occhio socchiuso raccoglie tutt’attorno aurei bagliori. Suggestioni? Certamente. È del resto l’epifanica atmosfera delle Basilica d’Eustorgio a richiamarle, assieme a tante domande, e ad ancora maggiori curiosità. Ma i Magi, in fin dei conti, chi erano? Ed erano davvero tre soltanto? E ancora: cosa hanno rappresentato queste figure per i primi cristiani? E per noi oggi? E come c’entra Milano con tutta questa storia?
È necessario, a questo punto, andare con ordine, cercando di fare un po’ di chiarezza. Narra Matteo che, al tempo di re Erode, dei Magi arrivarono dall’Oriente a Gerusalemme per cercare il re dei giudei. La stella che li aveva guidati e preceduti nel loro cammino riapparve e si fermò sul luogo dove era nato Gesù. «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e prostratisi lo adorarono; quindi, aperti i loro scrigni, gli presentarono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non ritornare da Erode, per un’altra via fecero rientro al loro paese» (Mt 2, 11-12)
Così l’evangelista presenta i Magi, con una prosa precisa ma sintetica. E nessun ulteriore riferimento al riguardo si trova negli altri tre Vangeli, e ben poco di storicamente attendibile aggiungono gli scritti apocrifi di epoca successiva. Matteo, dunque, non precisa il numero, né l’esatta provenienza di questi personaggi, primi rappresentanti dei “gentili” (cioè dei pagani) giunti a Betlemme a rendere omaggio al redentore.
Anche il termine greco “magos” non è di semplice interpretazione, derivato – secondo varie opinioni – dal sanscrito o dall’indoeuropeo nel significato di “grande” o di “dono”. Quel che è certo è che mentre nell’Antico Testamento “mago” era sinonimo di stregone o fattucchiere, ed aveva quindi un significato prevalentemente negativo, in Matteo esso diviene indubbiamente positivo, applicato a persone sagge e pie. I Magi, inoltre, erano molto probabilmente degli astrologi, forse appartenenti ad una casta sacerdotale diffusa da tempo nella Media (l’attuale Iran settentrionale), in Mesopotamia e in Persia, che seguiva gli insegnamenti di Zoroastro, fondatore della religione nota come Mazdeismo.
Nel corso dei primi secoli della nostra era, tuttavia, furono avanzate numerose e contrastanti ipotesi su di loro. Alcune di esse ebbero maggior fortuna ed andarono progressivamente fissandosi nella tradizione, nella letteratura e nella stessa iconografia. Proprio perché Matteo non aveva chiaramente specificato la provenienza dei Magi, al di là di una generica indicazione “orientale”, molti autori cristiani ritennero che essi fossero persiani (come Clemente Alessandrino, Diodoro di Tarso, Cirillo d’Alessandro, Giovanni Crisostomo, Prudenzio), mentre altri li riconobbero come arabi (Giustino e Tertulliano) o babilonesi (Massimo di Torino).
Con molta probabilità, comunque, non erano “re”, come oggi invece comunemente si dice, poiché nessun autore antico (ad eccezione di sant’Agostino) fa cenno alla loro presunta regalità, da considerarsi piuttosto come grande autorità. Anche nelle arti figurative i Magi cominciarono ad essere rappresentati con gli attributi dei sovrani (scettri e corone) solo nel pieno Medioevo, sulla scia evidentemente di una diffusa, ma tarda, tradizione.
Antichissima, invece, e per questo ormai così profondamente radicata, è la credenza che vuole che i Magi prostratisi davanti al Bambin Gesù fossero stati tre. In realtà, ancora una volta, il testo evangelico non fa alcun cenno in proposito. Ma è logico pensare che quel numero ternario fin dall’antichità sia stato desunto da quello dei doni che essi portarono.
Il primo autore che accetta questa codificazione è Origine, seguito poi da san Leone Magno e da tutti i più autorevoli Padri della Chiesa, mentre sant’Agostino collega simbolicamente i Magi, più che alle loro offerte, alla Trinità stessa. Anche i doni, del resto, furono ben presto interpretati nel loro significato emblematico. Valgono per tutti le parole di Ignazio d’Antiochia, secondo il quale i Magi «recarono Mirra, dovendo il Cristo morire per il genere umano ed essere sepolto; Oro, essendo Egli re, il cui regno non ha fine; Incenso perché egli è Dio e si è manifestato a coloro che non lo cercavano».
Ma veniamo ora ai nomi. La tradizione, infatti, ha da tempo “ribattezzato” i Magi con i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Nomi, per altro, che si sono per così dire fissati solo a partire dal XII secolo, con l’espandersi del culto delle loro reliquie in tutta Europa.
Più o meno in quella stessa epoca sorse la leggenda che i tre Magi rappresentassero le tre razze umane, giunte davanti alla grotta per rendere omaggio al Figlio di Dio: Gaspare quella europea; Melchiorre quella africana, Baldassarre quella asiatica. Per tale motivo, a partire dalla fine del Medioevo (ma solo da allora), essi sono raffigurati con caratteristiche somatiche diverse, rappresentando spesso anche le tre età della vita: giovinezza, maturità, vecchiaia.
Comunque, proprio perché Matteo ben poco ha detto di questi “personaggi venuti dall’Oriente”, a partire soprattutto dal VI-VII secolo nacquero e si diffusero racconti e leggende che andarono ad arricchire in modo fantasioso il testo evangelico, introducendo fatti e situazioni nuove, nonché eventi miracolosi.
Lo stesso Marco Polo, nel suo Milione, afferma che le tombe dei Magi erano ancora venerate a Savah, in Persia; notizia, questa, confermata poco tempo dopo, nel 1320, da un altro grande viaggiatore, Odorico da Pordenone.
Ciò, contrasta, però, con una parallela tradizione occidentale, secondo la quale le reliquie dei Magi avrebbero subito ben diverse vicissitudini, coinvolgendo direttamente Milano e la terra ambrosiana tutta. Ritrovate infatti, al principio del IV secolo, da Elena, madre dell’imperatore Costantino e autrice già di altre mirabolanti scoperte (come la Santa Croce), le spoglie dei tre personaggi sarebbero state portate da Gerusalemme a Costantinopoli. Qui sarebbero rimaste in realtà per pochi anni, fino a quando, cioè, l’imperatore Costante le avrebbe date in dono – non si sa esattamente per qualche motivo – a Eustorgio, in occasione del suo viaggio a Bisanzio, prima di insediarsi vescovo di Milano. E qui la leggenda si sbizzarrisce…
Deposte le reliquie in una grande arca marmorea, dalla Dalmazia Eustorgio sarebbe sbarcato in Italia. Nel corso del viaggio, a Villetta, nel cuore dell’Abruzzo, un lupo avrebbe quindi attaccato e ucciso uno dei buoi che trascinavano il pesante sarcofago. Il santo vescovo, allora, riuscì ad aggiogare la belva al posto del bue, giungendo a Milano alla testa di un così ben particolare corteo. Ma all’altezza di Porta Ticinese, nei pressi del fonte detto di san Barnaba (sacro ai milanesi per il battesimo dei primi cristiani), l’arca divenne improvvisamente così pesante da non poter più essere rimossa. Eustorgio, scorgendo in ciò un disegno della provvidenza, ordinò che sul posto venisse eretta la “Basilica dei Magi”.
Per molto tempo si è ritenuto che tale favolosa “leggenda del sarcofago eustorgiano” fosse in qualche modo confermata e ribadita dall’espressiva decorazione di un capitello romanico, uno dei più antichi della chiesa. Recentemente, però, è stata avanzata l’ipotesi che tale raffigurazione si riferisca in realtà ad una precedente tradizione, relativa sempre alla vita di sant’Eustorgio, ma sulla quale nel Medioevo si sarebbe sovrapposta la più tarda narrazione del trasporto delle spoglie dei Magi.
In effetti, lascia comunque abbastanza perplessi il fatto che di reliquie tanto importanti e venerabili non parli né sant’Ambrogio, né alcun altro antico autore ambrosiano. E pur si conosce la grande importanza data alle reliquie dei santi e dei martiri del vescovo di Treviri, lui stesso “fortunato inventore” in diverse occasioni.
Quel che è certo, al di là di ogni ragionevole dubbio, è che i resti dei tre astrologi d’Oriente si trovavano a Milano dopo il Mille, portati nella diocesi ambrosiana, secondo alcuni studiosi, solo al tempo delle prime crociate. L’epoca storica e documentata delle reliquie dei Magi, infatti, inizia proprio da Federico Barbarossa. L’imperatore tedesco, volendo punire il capoluogo lombardo per la sua “oltraggiosa” indipendenza, non si limitò, dopo lunga lotta, a radere al suolo gran parte della città, ma ordinò che le venisse sottratta «il suo incomparabile tesoro, più prezioso di tutto l’oro e di tutti i gioielli» come disse lo stesso cancelliere del Barbarossa: i corpi santi dei Magi. E per Milano, ricorda Bonvesin de la Riva, proprio questa risulta essere, di tutta quella triste vicenda, «l’offesa più umiliante e più grande».
Nonostante fossero state segretamente occultate nel torrione di San Giorgio al Palazzo, l’arcivescovo di Colonia – scomunicato, tra l’altro, da papa Adriano IV – Reinohld von Dorrel riuscì a impadronirisi delle venerate reliquie il 17 giugno 1164, trasferendole immediatamente in Germania con un viaggio di dodici tappe, secondo un tortuoso itinerario imposto dalle milizie vaganti in guerra.
Il 23 luglio il carico giungeva comunque a Colonia, dove le sacre spoglie vennero deposte nella chiesa di San Pietro, attorno a cui, più tardi, sorse l’impareggiabile e celeberrimo duomo gotico. Al maestro orafo Nikolaus di Verdun fu commissionato il preziosissimo scrigno in oro, argento e pietre preziose, meravigliosa opera di oreficeria del XII secolo, in forma di piccola cattedrale, che ancor oggi custodisce i crani e le ossa dei Magi.
La “pace” fra Colonia e Milano fu sancita all’inizio del Ventesimo secolo, quando l’arcivescovo della città tedesca fece dono al cardinal Ferrari di parte delle venerate reliquie, subito ricollocate all’interno della basilica di Sant’Eustorgio.
Solo una bella leggenda, dunque? Non proprio. Perché recenti indagini scientifiche, effettuate da una delle maggiori industrie farmaceutiche tedesche, hanno rivelato che effettivamente i presunti resti dei Magi sarebbero da collocarsi cronologicamente al I secolo dell’era cristiana…