In corso fino al 25 ottobre in Vaticano la XIV Assemblea generale ordinaria sul tema «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo». Per tutta la durata del Sinodo il cardinale Angelo Scola, che vi partecipa, invia una serie di riflessioni che saranno riportate in questa pagina.
Purtroppo la sovraesposizione mediatica di quest’anno ha talvolta impedito di mettere a fuoco il cuore della questione: il Santo Padre ha convocato l’Assemblea del Sinodo per riflettere sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. La Chiesa sente il bisogno di approfondire, con rinnovato vigore, la bellezza universale del disegno di Dio su matrimonio e famiglia. La saggezza della Chiesa da sempre accompagna la persona nel suo singolare cammino. I recenti dibattiti hanno messo in evidenza quella che io considero un aspetto decisivo di cui il Sinodo si dovrà necessariamente occupare: la riflessione sul matrimonio, sedimentata lungo i secoli, chiede di essere ripensata. Spesso è fatta di giustapposizioni che ne minano l’unità e la semplicità. Occorre approfondire il nesso fede matrimonio, il significato della natura sacramentale del matrimonio e il perché il matrimonio non si possa appiattire su una sorta di «contratto naturale».
I cristiani sono chiamati a testimoniare e a rendere ragione dell’amare «per sempre», condizione costitutiva della natura stessa dell’amore, del desiderio di essere amati e di amare definitivamente. Desiderio che abita il cuore di tutti gli uomini, in ogni tempo e a ogni latitudine. L’amore non è solo passione, riguarda tutta la persona nella sua unità di corpo-anima. Per questo lo «slancio affettivo» deve raggiungere «l’amore effettivo» dell’altro in quanto altro. Solo così può essere fecondo.
La paura del «per sempre» può essere sconfitta dalla scoperta del bell’amore. Quello che Gesù ci ha insegnato.
la scelta di Papa Francesco di dedicare, a distanza di un anno, ben due Assemblee Sinodali alla riflessione sul matrimonio e sulla famiglia, si sta rivelando particolarmente indovinata. Un’occasione preziosa per la vita della Chiesa, in particolare per le Chiese di più antica evangelizzazione, come quella italiana.
Fin da questi primi giorni di lavoro sta venendo a galla un dato che va ben al di là dei dibattiti che agitano l’opinione pubblica, soprattutto in Europa. La famiglia fondata sul matrimonio è elemento costitutivo della vita della Chiesa. Per usare la felice espressione di Papa Francesco all’udienza generale di mercoledì, «è una carta costituzionale per la Chiesa» e un pilastro portante per la vita buona della società.
La bella descrizione di San Giovanni Crisostomo, ripresa dal Concilio, ma per troppi e per troppo tempo rimasta lettera morta – la famiglia come Chiesa domestica – è il tema centrale all’ordine del giorno dei lavori del Sinodo. Forse per la prima volta siamo in grado di recepirne la portata. Infatti la riflessione dei Padri sinodali, così come si va sviluppando in questi primi giorni di lavoro in aula e nei circoli minori, sta identificando nell’esperienza quotidiana della famiglia, con il dipanarsi delle sue relazioni costitutive (tra gli sposi, tra i fratelli, tra genitori e figli, tra nonni e nipoti…), il primo ambito in cui brilla quella centralità del fedele laico per la vita della Chiesa tanto cara al Vaticano II.
È in famiglia che ognuno di noi impara, per osmosi prima che attraverso le parole, a vivere le circostanze, favorevoli e sfavorevoli, e i rapporti, facili e faticosi, accogliendoli come invito di Gesù a seguirlo, affinché l’insopprimibile anelito alla felicità che abbiamo nel cuore si realizzi. Perciò la famiglia è il primo luogo in cui si attua quella vocazione del laicato di cui il Concilio ha parlato, ma che finora ha faticato a esprimersi in termini comprensibili. E questo ha un notevole peso anche per la società civile. Paradossalmente i tanti problemi aperti, sintomo della fatica dell’uomo d’oggi a comprendere la bellezza e la convenienza del disegno di Dio sul matrimonio e sulla famiglia, si stanno rivelando come una salutare provocazione per noi cristiani a interrogarci sul tesoro che ci è stato consegnato, per apprezzarlo, anzitutto noi, e per poterlo mettere a disposizione di tutti.
Di questo Sinodo mi sta sorprendendo, sia nella prima serie di interventi in aula, sia nel gruppo di studio e di riflessione a cui partecipo, l’ampiezza dello sguardo che abbraccia tutti i continenti (è la bellezza della cattolicità della Chiesa!) nel descrivere e nel riflettere sulla realtà del matrimonio, della famiglia e sui cosiddetti problemi scottanti: insicurezza dei giovani dinnanzi al matrimonio, accoglienza degli immigrati, ammissione o meno dei divorziati risposati alla comunione eucaristica, attenzione alle persone con attrazione verso lo stesso sesso e alle loro famiglie… Mi sembra che si stia andando esattamente nella direzione segnata dal titolo: «Vocazione e missione della famiglia nella Chiesa e nella società».
I Padri sinodali sono consapevoli di portare nel loro lavoro le gioie e le sofferenze, le ansie e le speranze di tutte le famiglie. Sentono la grande responsabilità loro affidata. Chiedo perciò ai fedeli, a tutti i battezzati e agli uomini di buona volontà della nostra Diocesi di accompagnarli attraverso l’ascolto e la preghiera.
Qui a Roma, in Santa Maria Maggiore, ogni sera si recita il Rosario perché i lavori del Sinodo procedano per il bene della Chiesa e di tutti i nostri fratelli uomini. Chiedo che il Rosario recitato in parrocchia prima della Messa feriale abbia la stessa intenzione, e che possibilmente lo si reciti in ogni famiglia.
Intervenendo in questi giorni in Aula, Monsignor Frățilă, Vescovo di Bucarest dei romeni, ha parlato del martirio come esperienza creativa. Egli, insieme con tutta la Chiesa rumena, lo ha sperimentato sulla propria pelle negli anni del cosiddetto socialismo realizzato. L’espressione usata mi ha impressionato: come si può definire il martirio un’esperienza creativa?
In che senso lo può essere? E come può questo richiamo cambiare la nostra vita?
Non si tratta evidentemente di perseguire atti eroici ad ogni costo. Si tratta di comprendere, attraverso l’esperienza dei martiri, che siamo chiamati – nella fedeltà e nella pazienza – ad accettare la pro-vocazione che Dio ci fa attraverso tutte le circostanze e tutti i rapporti, affinché la nostra vocazione personale e familiare si possa compiere.
Il Vescovo rumeno ha esordito così per sottolineare la necessità che le nostre famiglie, con l’aiuto della comunità parrocchiale, delle associazioni e dei movimenti, ritrovino il senso pieno del bell’amore, capace di affermare l’altro in tutte le sue manifestazioni, anche nelle fragilità e fatiche. E perciò capace di essere fecondo nutrendo la vita della Chiesa e della società.
La vita quotidiana si fa “martirio della pazienza”, un’altra espressione usata al Sinodo, quando in ogni famiglia ci si lascia umilmente educare a viverla in pienezza. Gesù, come commenta S. Agostino, “si è fatto Via alla Verità e alla Vita” proprio per questo.
Guardiamo a ciò che in famiglia si vive ogni giorno: gli imprevisti e le malattie, lievi o pesanti, la novità e la routine, la gioia e le ferite tra marito e moglie, le tensioni con i figli che crescono, le difficoltà economiche, la sconvolgente visita della morte, i rapporti di vicinato, facili o difficili, l’emarginazione e la povertà che spesso affliggono il quartiere dove abitiamo, i problemi con i colleghi di lavoro o i compagni di scuola, la confusione generata da un modo strumentale di affrontare le problematiche del nostro tempo …
Cosa significa in tutto questo il martirio della pazienza?
Significa, come ci siamo richiamati nella Lettera Pastorale, attraversare ogni situazione certi dell’amore che Gesù ci dona e che Maria Santissima, con i Santi, ci aiutano a vivere, “piegando” a nostro vantaggio anche le situazioni più sfavorevoli. Le relazioni familiari diventeranno così, quasi spontaneamente, trasparenti della bellezza e della speranza che Gesù è venuto a portare nel mondo.
Questo aspetto è stato molto sottolineato nel lavoro del Sinodo di questa settimana, sia nell’ampio dibattito dentro i gruppi che nei numerosissimi – più di 200 – interventi in aula.
La testimonianza di Monsignor Frățilă mi ha interrogato e ha messo in discussione il mio modo di vivere la grande famiglia della nostra Diocesi spingendomi a confidarvi l’urgenza che ognuno di noi sia disponibile a cambiare i propri rapporti. Se faremo spazio alla grazia del Signore, mendicandola attraverso l’Eucaristia e la preghiera semplice del Rosario, ne sperimenteremo la potenza di conversione e di novità di vita.
Sono convinto che ciò abbia un grande peso all’interno della convivenza civile nella nostra realtà ambrosiana e milanese e sia la strada per affrontare le contraddizioni, le fragilità, gli elementi di illegalità, la difficoltà a vivere rapporti di cittadinanza rispettosi.
Infatti la riflessione sulla famiglia che sta impegnando i Padri sinodali non è limitata ad un frammento, ma ha a che fare con tutta la vita della Chiesa e della società.
Avvicinandosi il grande Anno Giubilare, invito ogni famiglia a prendere sul serio le opere di misericordia corporale suggerite dalla Chiesa: anzitutto conoscendole e poi mettendole in pratica attraverso qualche gesto concreto nella vita di questa settimana.
Carissime e carissimi,
dopo una settimana in cui hanno riflettuto e discusso a lungo, nell’ascolto reciproco e nel confronto, per proporre modifiche migliorative all’Istrumentum laboris iniziale, i relatori dei 13 gruppi hanno presentato in aula a tutti i Padri Sinodali una sintesi del loro lavoro. E tutti hanno messo in evidenza un tema che io giudico il grande risultato di questo Sinodo, in attesa che il Santo Padre si pronunci nei modi e nei tempi che riterrà opportuni.
Sinteticamente lo si può dire così: “la famiglia è un soggetto di annuncio quotidiano di Cristo”. E’ questo un altro modo di proporre la formula tradizionale “famiglia Chiesa domestica”.
Cosa significa, in concreto, parlare della famiglia come soggetto, come Chiesa domestica? Significa invitare ad esprimere nella vita quotidiana della famiglia quel modo di vedere le cose, di concepire le relazioni, di affrontare tutte le circostanze che faccia trasparire la positività del pensiero e dei sentimenti di Cristo.
In questa prospettiva anche le definizioni di famiglia come Chiesa domestica o come cellula fondamentale della società sono destinate a riprendere consistenza, così che l’influsso sulla vita della Chiesa si faccia più marcato e visibile e ne scaturisca, nella società civile nel rispetto della libertà di tutti, uno stile di vita realmente improntato al bene comune.
In concreto occorre che in ogni famiglia ci si aiuti tutti – il papà, la mamma, i figli, i fratelli, le sorelle, i nonni, i parenti, gli amici, i vicini … – a valutare tutto ciò che succede, facendo anche dei gesti semplici di preghiera insieme al mattino, all’ora dei pasti, alla sera … per affrontare le gioie e i dolori che in ogni famiglia si vivono, per dare risposta convincente ai problemi e alle fatiche che si incontrano tra gli sposi o con i figli.
Questa sarà anche la strada per valorizzare finalmente i laici nella vita della Chiesa. Saranno infatti loro per primi (e in questo insostituibili) a documentare tutta la forza che la famiglia fondata sul matrimonio – come rapporto fedele e aperto alla vita tra un uomo e una donna – possiede, fino ad influire sui principali settori della vita associata. Penso, per esempio, alle questioni decisive dell’educazione, della condivisione di chi è nel bisogno, alla capacità di affrontare il dolore, la malattia e la morte, all’attenzione da portare agli anziani, a come rendere la convivenza civile più carica di giustizia e di equità. La famiglia deve quindi emergere come soggetto responsabile a partire dalla vita stessa che in essa si svolge.
E questo può accadere dove la Pastorale Familiare incontra le famiglie, per esempio riunendone tre o quattro in una casa, suscitando un atteggiamento creativo e positivo che aiuterà a superare la persistente frattura tra la fede e la vita. La famiglia diventa così grembo privilegiato del grande dono della Misericordia del Padre, il Figlio di Dio incarnato.
Il Sinodo, ormai concluso, rappresenterà un contributo notevole per la vita della Chiesa “cattolica”, pluriforme nell’unità, e per delle diverse culture e società.
Vi invito ad aggiungere alla recita del Rosario e alla pratica delle opere di misericordia, l’impegno a vivere bene l’ormai prossimo Avvento. Per chi può e lo desidera richiamo che nelle sei domeniche precedenti il Natale l’arcivescovo celebrerà in Duomo alle 17.30.