«Mi rendo conto che uscire dalle vostre case, in una sera feriale di autunno, non è un impegno di poco conto, basti pensare al traffico sulle tangenziali… – riflette Scola, rivolgendosi ai molti presenti, tra cui il Sindaco e le Autorità militari e civili -. Questa per me è già una grande consolazione e deve esserlo per tutti i cristiani di questa terra così importante».
Stabilito lo stile dell’Assemblea, «che deve vederci all’ascolto in un atteggiamento di umiltà profonda, così come l’Assemblea eucaristica inizia con il Confiteor», si definisce il significato della Visita pastorale «quale dovere episcopale e strumento privilegiato del Vescovo, perché nulla può sostituire il “faccia a faccia”». Poi l’articolazione e lo scopo della Visita stessa, riletto a partire dalla Lettera pastorale Educarsi al pensiero di Cristo: «Oggi la partecipazione alla vita liturgica, alla Messa, è certamente molto diminuita, ma osservo che vi è più convinzione tra i fedeli. Tuttavia si ha l’impressione che, quando usciamo dalle chiese, questo senso spontaneo della fede non realizzi il modo con cui il Signore giudicava gli eventi nella vita di tutti i giorni. È come se la bellezza del credere non brillasse nei nostri occhi: anche per questo si fatica a comunicarla a chi ha perso la strada di casa e a tutti i nostri fratelli uomini». Insomma, è una fede che non “passa” nella vita, come aveva già compreso Montini nel 1932, parlando della cultura: «Si tratta, dunque, di capire perché esista tale fossato e come superarlo».
Le domande iniziano dalle difficoltà di vivere il Decanato e dalla richiesta di suggerimenti per rivitalizzare il Consiglio pastorale decanale. «Come dare una testimonianza gioiosa e coltivare relazioni fraterne, perché la Comunità diventi una Comunità educante?». «Lo stile sinodale è camminare insieme – spiega il Cardinale in riferimento alle Comunità pastorali -. Il mio predecessore, il cardinale Tettamanzi, come pure i precedenti, hanno intuito i cambiamenti in atto, per cui se si uniscono le forze e si cammina insieme, si può costruire una possibilità di vivere al meglio il dono più grande della nostra vita che è il Signore, via, verità e vita. La singola parrocchia da sola non è ormai in grado di dare risposte alle nuove domande che stanno sconvolgendo il nostro modo di vivere, come l’immigrazione, le sfide delle tecnoscienze, la civiltà delle Reti, la complessità dell’economia e della finanza, basata ormai tutta su algoritmi. Il problema non è il Consiglio decanale o qualche altra struttura, pur assolutamente necessaria, ma vivere in Cristo con la sua mentalità e il suo cuore. La parola che ci deve guidare è comunione. Se Gesù ha creato la famiglia dei cristiani, che potenzia quella della carne e del sangue e se, estenuato sulla Croce, ci ha offerto un “noi”, impariamo almeno, come criterio, a perdonarci… Facciamo un segno di croce al mattino e diciamo un’Ave maria la sera: poca cosa, ma sarebbe già sufficiente per prendere coscienza di Cristo come centro affettivo dell’esistenza».
Il richiamo è quindi a una Pastorale di insieme che «diventa sempre più urgente. Se non ci mettiamo nella scia della sinodalità, rischiamo di chiuderci sempre più sotto il “campanile”, assumendo un’attitudine affaticata, passiva, noiosa, mentre vogliamo essere gioiosi». Discorso valido anche per la famiglia, «perché divenga Chiesa domestica e soggetto dell’annuncio di Cristo. Si devono affrontare i problemi quotidiani dall’interno della famiglia stessa, in un dialogo semplice con altri nuclei familiari: questa è la strada. Pensate se, da oggi all’arrivo del Papa il 25 marzo, vi incontraste almeno una volta: che forza di Chiesa domestica promuovereste e che valorizzazione dei laici! Senza un’assunzione diretta di questo tipo di responsabilità è molto difficile che la famiglia, che mantiene il suo valore fondamentale, tenga».
Ancora interrogativi: «Come comunità cristiana percepiamo uno scollamento tra noi e la società. Che fare? Quali sono gli aspetti positivi riscontrati nelle comunità visitate? Come farli nostri?». «Anzitutto non direi che la vostra sia una realtà diversa da altre della Diocesi – osserva l’Arcivescovo -. Non enfatizzerei un’immagine di particolare difficoltà, pur patendo tutti la fatica che attraversano le Chiese europee. In ogni caso, la partecipazione nella nostra Chiesa si attesta sul 20%, mentre per esempio a Barcellona in Spagna è al 2%. Non siamo noi a determinare il numero, dobbiamo abbandonarci al Signore. Mai avere l’ossessione del numero. Se uno sa per Chi vive e se ha una direzione di cammino, si impegna per rendere la città e la società un luogo di amicizia civica. In tale contesto, la parola-chiave è “testimonianza”: non il semplice buon esempio, ma la comunicazione di ciò che siamo e si è imparato dall’amore di Cristo».
Ancora, le ultime domande: «Quale è la sfida oggi più importante per il singolo credente e le Chiese?»; «La Comunità pastorale è l’unico strumento? Si è pensato alle implicazioni per i fedeli?». «Le Cp sono un’impresa a medio e lungo periodo. Sono state pensate, certo, valutando le ripercussioni sulla gente e sui preti. La ragione per cui le facciamo è la missione, per una presenza che valorizzi il collegamento con gli ambienti di vita, nei quali è necessario entrare di più». Infine, la consegna: «Abbiate grande apertura verso la ricerca di Dio che i nostri fratelli uomini hanno e altrettanta cura per le generazioni di mezzo: questo è un primario nodo pastorale».
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