Le mie radici affondano in un paese della bassa milanese, Melegnano, dove l’orizzonte, tra campagne e cielo, è un’ininterrotta linea retta. Eppure, anche a quella terra di nebbia e pianura, il vento di primavera regalava giornate di azzurro intenso, così pulite e terse da poter scorgere tutta la catena del monte Rosa. Questa “fotografia” già dice parecchio di me, del mio cammino, della mia vocazione: racconta la mia passione per la montagna, il sogno, realizzato, di raggiungere la vetta del monte Rosa, la predilezione che conservo tuttora per i giorni pieni di vento. In quell’immagine sento evocata la presenza di una bellezza, che talvolta si vede, ma che può non cadere sempre nitida sotto lo sguardo. Il blu pieno di vento mi trasmette inoltre una dimensione di libertà, che già da adolescente si è impressa nella mia ricerca di vita e l’ha orientata, come una nostalgia e un desiderio, forse come una chiamata, certamente confusa all’epoca.
Fin da piccola i miei genitori mi hanno accompagnato all’oratorio e lì son cresciuta, sui polverosi campi da gioco, come nella piccola cappella, negli incontri di gruppo, nelle attività da organizzare, attraverso la testimonianza bella di educatori e preti. L’oratorio è stato soprattutto luogo di relazioni. Con tanti amici ho trascorso avventure memorabili e con alcuni di essi ho avuto il dono unico di poter condividere, confrontare, coltivare il cammino di fede e di ricerca vocazionale. Amicizie profonde, che durano da decenni.
Al quinto anno delle scuole superiori ho partecipato alla proposta del Gruppo Samuele, che proprio allora, per intuizione del card. Martini, prendeva avvio nella diocesi di Milano. Mi incontravo mensilmente con altri giovani abitati dal desiderio di non sciupare l’esistenza, in ascolto del Signore; l’Arcivescovo, con guida paterna, ci accompagnava, facendoci scoprire e assaporare la Parola di Dio come parola viva e penetrante, rivolta a ciascuno di noi personalmente. L’itinerario del Gruppo Samuele sfociò per me nella scelta di vivere, dopo la maturità, un anno di volontariato sociale, con la Caritas ambrosiana: volevo giocarmi più decisamente in quei valori di gratuità e dedizione che stavo riconoscendo come capaci di dare senso alla vita. Le giornate spese in una comunità per minori stranieri in difficoltà, affiancandomi ai giochi dei ragazzi, dando loro una mano coi compiti o aiutando nelle pulizie di casa, mi hanno rivelato che i grandi ideali si concretizzano quasi sempre in un quotidiano ordinario, nelle relazioni più vicine che ci sono donate. Andavo scoprendo che l’orizzonte della libertà ha spesso un profilo umile, semplice, incarnato nel piccolo.
Nell’estate di quell’anno ci furono due indimenticabili settimane di vacanza ad Assisi, in una comunità francescana dallo stile molto essenziale, che offriva ai giovani esperienze di lavoro e preghiera. Lì ci fu l’intuizione e il riconoscimento profondo che il Signore chiama – e mi chiamava! – a una relazione viva, vera, reale e personale con lui. Una relazione capace di riempire l’esistenza. La mia sete di libertà veniva raccolta da un Volto amante, quello del Signore Gesù. Le settimane trascorse ad Assisi, grazie alla testimonianza di persone concrete, furono anche l’incontro ravvicinato con la vita di Francesco e Chiara, in particolare con il loro modo di seguire Cristo in povertà e fraternità. Ai miei occhi, povertà e libertà cominciavano ad annodarsi, a diventare l’una riflesso dell’altra. Direi che proprio da quell’esperienza è iniziato – non da sola! – un discernimento più specifico rispetto alla forma della vocazione: veramente la vita monastica era il modo con cui potevo accogliere l’amore di Dio, così come mi si stava rivelando? Veramente la via tracciata da Francesco e Chiara poteva tenermi in cammino alla sequela di Gesù? E ancora: poter conoscere la libertà, proprio dentro una vocazione a tal punto “concentrata”, come quella monastica, era una promessa da rischiare o un abbaglio? Intanto, mi ero iscritta alla facoltà di fisica, probabilmente per il gusto di cercare, di capire il perché delle cose e dei fenomeni. Mentre studiavo, ho proseguito il cammino di verifica, confrontandomi per alcuni mesi con una comunità benedettina. Poi sono arrivata qui. Questo monastero, presenza discreta e seminascosta nel cuore di una città come Milano, mi è da subito apparso come un segno-custode della povertà e della semplicità del Vangelo, della relazione totalizzante con il mistero di Dio e della prossimità agli uomini. Dopo un tempo di discernimento con le sorelle di questa fraternità, nel giugno del 1995, con una coraggiosa “capriola” (bisogna talvolta osare un istante di capovolgimento!) decido di rischiare la promessa di Dio. Inizio la vita delle sorelle povere, con il desiderio e le insicurezze dei miei 23 anni. Da allora, un vento di libertà non ha cessato di soffiare, meno in ampiezza, più in profondità: Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero! (Gv 8,36)
Suor Enrica Serena
Monastero di Milano